Giovanni e Francesco Belfiori – Le parole mute del tempo
Giovanni Licalzi – L’ultima settimana di settembre
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La scrittrice Lilli Luini ha pubblicato sul social network dedicato ai libri anobii.com una recensione del giallo “Le parole mute del tempo”, assegnando al libro il punteggio massimo, cinque stelle. Ecco il testo:
Qualche settimana fa, navigando in rete, incappai in una polemica. Uno scrittore, di quelli considerati “alti”, scriveva nel suo blog di aver preso un libro dallo scaffale di una libreria, di averlo aperto e di averlo subito riposto. A provocare tale repulsione immediata, l’epigrafe messa dagli autori, una dedica ai poliziotti “difensori della nostra libertà”.
L’ho comprato seduta stante. A me certe prese di posizione danno l’orticaria.
Oggi sono grata a quello scrittore, perché ho letto un libro bellissimo, un romanzo profondo, doloroso e allo stesso tempo dolce. Definiamolo un poliziesco perché il protagonista è un commissario della Stradale e la storia è quella di una morte violenta e misteriosa e dell’indagine che viene fatta. Ma si stacca nettamente dal genere, soprattutto perché non si appiattisce nei topos che vanno tanto di moda, non è uguale a tutti gli altri che hai letto, non indulge in quello che sembra attualmente piacere al pubblico dei lettori.
La scrittura è ricca, non infarcita di dialoghi come usa nel genere, attenta ai dettagli.
Livio Bacci, il commissario, è un figura spessa, delineata benissimo, un uomo solo che tale è rimasto consapevolmente e che ha trovato un equilibrio. Non è dannato come tutti i suoi colleghi letterari, si muove su una costa Adriatica fuori da ogni retorica. In questa vicenda iniziale, Bacci è in malattia e si trova a scavare in una vicenda che trent’anni prima lo aveva profondamente segnato. Spero di ritrovarlo nel pieno delle sue funzioni, alle prese con un’indagine.
Le cinque stelle sono per sottolineare il merito di staccarsi da un panorama piatto, anche a costo di giocarsi una fetta di mercato. Ma, secondo me, si chiama fare cultura in un genere, il giallo, che ha molto da dire su questo nostro mondo.
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Pietro Rinaldi ha ottant’anni e vuole essere lasciato in pace. Ormai è convinto che la sua vita sia arrivata al capolinea e, mentre mangia penne all’arrabbiata, riflette su quanto i libri siano meglio delle persone. Se già fatica a sopportare se stesso, figuriamoci gli altri! Non ha proprio intenzione di avere a che fare con l’umanità… fino a quando, un giorno, nel suo mondo irrompe Diego, il nipotino quindicenne. Lui ha l’entusiasmo degli adolescenti e la forza di chi non si lascia abbattere dagli eventi, neanche da quelli più terribili, e non ha paura di zittire i malumori del nonno. Da Genova partono in direzione di Roma, a bordo di una Citroën DS Pallas decapottabile su cui sembra di volare. Sul sedile posteriore c’è Sid, l’enorme incrocio tra un San Bernardo e un Terranova – vera e propria calamità. Ed è così che un viaggio di sola andata si trasforma in un’avventura on the road, piena di deviazioni e ripensamenti, vecchi amori e nuove gioie. Perché è proprio quando credi di aver visto tutto che scopri quanto la vita riesca ancora a sorprenderti.
L’ultima settimana di settembre è il racconto esilarante e commovente del viaggio di un nonno e un nipote alla ricerca di se stessi. È una storia che, senza giri di parole, scava nei sentimenti più profondi e ci porta di fronte alle emozioni più vere, quelle che richiedono una buona dose di coraggio per essere affrontate ma rimangono impresse indelebili dentro di noi.