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27 mercoledì Mag 2020

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L’ animale femmina –  Emanuela Canepa

«Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere»

L’animale femmina, che presenta una giovane protagonista, Rosita Mulé, bellicosa e pronta alla battaglia, certamente non inferiore alle donne-investigatrici che altri mettono in primo piano partecipando alla moda dilagante dei “gialli”. La sua schedina biografica la metterebbe in una grave situazione di disagio. È in lotta con una madre assorbente, tanto da indurla a fuggire dal “natio borgo selvaggio” per inurbarsi a Padova, vivendovi una bohème nei termini attuali, e cioè pochi soldi, un lavoro mal pagato in un emporio, esami universitari dati quando ne ha tempo, amori da strapazzo poco gratificanti. Ma la giovane mantiene una onestà di fondo, che fra l’altro le permette di compiere una “buona azione”, come sarebbe il restituire il portafoglio smarrito da una viaggiatrice incauta scendendo da un autobus. Al seguito di questo spunto le avviene di incontrare l’altra figura dominante dell’intera vicenda, che forse potrebbe essere intitolata più correttamente all’“animale maschio”. Si tratta infatti di un anziano avvocato, tale Ludovico Lepore, subito definito “un odioso, vecchio sadico stanco e claudicante”. In apparenza questo anziano professionista sarebbe un benefattore della giovane, perché la assume come segretaria d’ufficio colmandola di favori, che però hanno impensati corrispettivi. Infatti a Lepore piace essere dominatore, in modi subdoli, poco appariscenti. I benefici con cui accoglie la ragazza sono accompagnati da progressivi tentativi di dominio, con imposizioni varie, nell’abbigliamento, nei modi di comportarsi, di parlare, di atteggiarsi. Ne nasce un duetto con punte divertenti o assai tese, perché Rosita è pane per i denti del vecchio coriaceo. Abilmente la scrittrice inserisce un flashback che ci spiega tutto, del protagonista. Tanti anni prima egli ha avuto una relazione con un compagno di esperienze giovanili, sfociata in un rapporto omosessuale non pienamente consumato. Da qui il disgusto attuale dell’anziano avvocato per il sesso, e anche uno spirito di ritorsione verso le donne, colpevoli di avergli portato via, con un matrimonio di convenienza, il compagno tanto amato. Questo trascorso, in apparenza remoto e sepolto, spiega la durezza, malizia, protervia che regolano ora le mosse di questo dominatore della scena. Ne deriva un duello con la giovane apparentemente indifesa, ma in realtà non priva di artigli, che si combatte lungo tanti gradi, tappe e scaramucce, e l’averle tessute con abilità è certo tra i meriti maggiori di questa narrazione. C’è da chiedersi addirittura se i due, pur nei rispettivi ruoli tanto diversi, non riescano talora ad associarsi, nel perseguire, o nell’insinuarsi, tra il benevolo e il malevolo, in tante storie di divisioni coniugali, poiché lo studio è specializzato nelle cause di divorzio. Insomma, tra il maschio prepotente, seppure sempre in modi subdoli, non frontali, e la giovane ardita, seppure sotto le apparenze di un buonismo retto dai migliori principi, è lotta continua, magari sotto traccia, più con mosse da domino che per scontri frontali. E forse sarebbe stato bene che la nostra Canepa lo avesse tenuto a un simile livello fino alla fine, magari siglato dall’annuncio di una morte imminente del padre padrone per un tumore avanzante. Ma invece sul finale la nostra autrice ha voluto far riemergere da quel lontano passato l’infelice, secondario, marginale responsabile della vicenda giovanile, che si era tenuto una statuetta preziosa come pegno di un amore troppo presto dimenticato. Alla giovane di studio un’ultima incombenza, quella di recuperare l’oggetto carico di tanto valore sentimentale. Ma è anche il modo con cui “l’animale maschio” intende esercitare per un’ultima volta il suo dominio sull’odiata controparte.

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