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Gruppo di lettura "le parole"

~ Io leggo perché … mi piace

Archivi autore: gruppodiletturaleparole

Gruppo di lettura – 18 aprile 2023

10 venerdì Mar 2023

Posted by gruppodiletturaleparole in Incontro Gruppo di Lettura

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Esiste un museo, a Parigi, dove non sono custoditi né quadri né statue. In questo museo si conservano emozioni: ogni oggetto ― un vecchio telefono, una scarpetta bianca, un biglietto del treno ― è infatti il segno concreto di un amore perduto, di una fiducia svanita, di una perdita. Cimeli donati da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore. Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell’estate del 1986, ha l’impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Poi capisce: lì, la gente è stata costretta a dimenticare cosa sia la libertà. Eppure qualcuno non si rassegna. Come l’affascinante Tomas, incontrato per caso a uno spettacolo di marionette. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove lei dovrà spingersi per salvarsi la vita. Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l’occasione per sistemare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante è un luogo in cui le storie prendono nuovo slancio, spiccano il volo verso mete inaspettate. E magari ricuciono i fili strappati dal destino. Come quelli che la legano a un uomo che aspetta solo un cenno per mantenere la sua promessa…

Gruppo di lettura – 9 marzo 2023

15 mercoledì Feb 2023

Posted by gruppodiletturaleparole in Incontro Gruppo di Lettura

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Decapitati i miei quattro compagni, un indio – non so se uno dei due che aveva ucciso gli altri, non riuscivo più a distinguerli – mi ha levato il cappuccio, e prima di decapitarmi ha studiato per bene la mia testa. Mi ha scrutato da vicino, come una belva davanti alla preda. Dopodiché è indietreggiato di qualche passo, senza staccarmi gli occhi di dosso, e ha proferito una frase che poi ha iniziato a ripetere senza interruzione: “Kulumanè-Jajary-Karai, Kulumanè-Jajary-Karai…” (pag. 87)

Altri indios ripetono la stessa frase incomprensibile e non uccidono Ugolino.

I selvaggi si prendono cura di Ugolino, lo nutrono, gli costruiscono una capanna, e una donna, che lui chiama Giorgina, come il perduto amore veneziano, lo ama senza alcuna remora per il suo aspetto. Il mostro italico è il miracolo amerindio. Ugolino scopre di essere considerato il tramite tra gli uomini e gli dei, i Karai, le divinità del fuoco, che lo hanno marchiato e consacrato: diventa il protettore della comunità quando riesce «a fermare il fuoco che stava distruggendo un pezzo di foresta e rischiava di divorare l’intero villaggio».

Gruppo di lettura – giovedì 9 febbraio 2023

04 venerdì Nov 2022

Posted by gruppodiletturaleparole in Incontro Gruppo di Lettura

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Marco Carrera è paragonato al colibrì per le sue dimensioni, dal momento che egli fino ai quattordici anni rimane piuttosto piccolo di statura, ma anche e soprattutto perché, nelle varie circostanze e malgrado lo svolgersi degli eventi, il suo rapportarsi alla vita assomiglia a quel battito d’ali col quale quel piccolo uccello riesce a mantenersi in equilibrio.

“Per tutta la sua infanzia Marco Carrera non si era accorto dei contrasti tra sua madre e suo padre… e solo per questo la sua infanzia era stata felice. Anzi, di più… li aveva perfino presi a modello, sì, e imitati, strutturandosi in un contorto miscuglio di caratteristiche mutuate dall’uno e dall’altra – le stesse che nel loro tentativo di unione si erano dimostrate inconciliabili”. Da protagonista, Marco è il punto di vista e il riferimento, la chiave di lettura degli eventi che di volta in volta interessano i membri della sua famiglia, che egli, responsabilizzandosi e colpevolizzandosi, prende in carico, anche pretendendo di condizionare le storie e la storia. Così, nella sua mente, non solo quella dei genitori, anche la vita della sorella e poi della moglie, della figlia… senza dimenticare quella di Luisa, il suo amore mancato e imperituro, sembra debbano dipendere dalle sue scelte personali, di lui che vorrebbe ergersi come un gigante a fermare la grande frana della vita, salvo poi doversi inevitabilmente lasciar travolgere scoprendo forze contrarie fino a quel momento imprevedibili.

Le sequenze della storia sono narrate in disordine, accostate per continuità logica più che temporale e il lettore è chiamato a ricostruirne, insieme alla successione cronologica, le connessioni e le dinamiche tra casualità e causalità, interpretando motivazioni e cogliendo relazioni.

«Ernaux passa attraverso il corpo, i desideri, la sessualità. la carne per raccontare una condizione che non può essere ridotta a un’unica dimensione, tantomeno a quella puramente autobiografica, anche se il percorso ha tutte le caratteristiche di una dolorosa presa di coscienza, inevitabile, liberatoria. In gioco, più che la felicità a cui la scrittrice sembra non dare troppo peso, c’è l’integralità della persona, il suo riconoscersi in sé stessa.» – Cristina Taglietti, la Lettura

«Sempre attenta ai bisogni degli altri. Come se per una donna non ci fosse nulla, proprio nulla, di più importante»

Le scoperte e i tabù dell’infanzia, gli ardori e i conformismi dell’adolescenza, gli anni trepidi e indipendenti dell’università, ingolfati di amori e di scelte, finché i mille bivi della giovinezza non convergono in un’unica via dalla forza di attrazione quasi irresistibile: il matrimonio, la fondazione di una famiglia. E qui lo squilibrio di ruoli e mansioni tra moglie e marito, tra madre e padre condanna l’autrice alla glaciazione dell’interiorità e del desiderio. In un continuo contrappunto tra le proprie esperienze e i modelli imposti dall’onnipresente universo maschile – nel sussidiario delle elementari come nei riti collettivi della gioventù e nei luoghi comuni sulla «femminilità» –, Annie Ernaux descrive con precisa passione l’apprendistato alla disparità di una donna, consegnandoci con spietata limpidezza un’impareggiabile radiografia della moderna vita di coppia.

Contributo di Valera Gramolini

Mi ha fatto uno strano effetto leggere questo libro di Annie Ernaux, che ho conosciuto solo perché i tg ne hanno parlato avendo vinto il Nobel per la letteratura 2022. Scopro così che è autrice molto conosciuta ed amata non solo in Francia, di cui ha raccontato il clima socio-culturale di più di mezzo secolo, avendo ottantadue anni anni e scritto molti libri, tra i quali questo forse non è il migliore, stando ai giudizi della critica, che invece raccomanda “Il posto” e “Gli anni”. Comunque pare che le tematiche siano piuttosto ricorrenti e che i diversi romanzi facciano sempre in qualche modo riferimento alla sua storia personale, la quale è la storia di quasi tutte le donne, alle prese con le questioni proprie del nostro sesso: i condizionamenti sociali e familiari alla differenziazione tra i ruoli maschili e femminili, le problematiche proprie del nostro corpo, vale a dire contraccezione, maternità, aborto, piacere e quelle della psiche, cioè i conflitti interiori che insorgono nella battaglia per l’affermazione della nostra autonomia ed indipendenza. Tematiche che in questo libro sono tutte presenti e che si riferiscono ai primi 35/40 anni della vita dell’autrice, a cominciare dalle anomale figure genitoriali, alla solitudine propria dei figli unici, lei, così diversa dalle proprie coetanee, e poi l’affacciarsi del desiderio amoroso e della ambigua spinta a cercare un partner, ora voluto ora rifiutato, la volontà di emergere ed affermarsi culturalmente e professionalmente e la difficoltà a farlo, per l’ingabbiamento nei ruoli, la vita di coppia soffocante e logorante, a cui si aggiunge una doppia maternità, una casuale ed una desiderata, non per una particolare attitudine ad essere madre, troppo esaltata dal mondo circostante, ma quasi come strumento di affermazione di un potere a cui il maschio non può accedere. Pur nella sofferenza di una battaglia solitaria ed incompresa, costretta ad una vita domestica a causa della quale è costretta a molte rinunce, la protagonista, cioè Annie, esce vincente, riuscendo alla fine ad incarnare il proprio vecchio sogno, e a conciliarlo parzialmente con una relazione coniugale in equilibrio perennemente instabile.

Lo strano effetto di cui parlavo all’inizio si riferisce al fatto che questo libro mi ha richiamato alla memoria cose alle quali non pensavo più da molto tempo e che erano invece oggetto ricorrente di discussioni ed approfondimenti durante gli anni di università e di battaglie femministe. Le quali naturalmente non si sono acquietate e giustamente, visti i tempi. Penso che il premio Nobel a questa autrice sia stato conferito più a sostegno della giusta rivendicazione dei nostri diritti in un mondo sempre più misogino e violento nei nostri confronti che per la qualità letteraria della sua scrittura, che comunque trovo molto interessante, così asciutta, scarna, precisa, vera e immediata da giungere davvero a tutti. Un premio al suo lavoro e alla carriera, realizzata attraverso una tenacia che a molte donne manca, e quindi un incoraggiamento a difendere quanto si è ottenuto, e non solo in quei paesi dove le donne non possono mostrare il viso né occupare i banchi di scuola.

Libro in lettura per il Gruppo di lettura di Monte Porzio, reperibile all’ l’edicola Manu da oggi fino al 9 febbraio, giorno del nostro prossimo incontro alle 21, nei locali della nostra biblioteca e poi sempre a disposizione. Consigliato assolutamente a tutte le donne che fanno fatica a volersi bene!

Mentre la maggior parte delle persone ama uniformarsi alla massa, rassicurati dalla condivisione di qualcosa dai grandi numeri, il barbiere Rodolfo, demotivato dalla routine di una vita senza eccellenze, coltiva il sogno di distinguersi. Passa dunque in rassegna e tenta, organizzandosi senza badare a spese, alcune possibilità. Esplora i diversi mondi delle minoranze alla ricerca della sua, ma senza successo, finché finalmente anche lui trova un piccolo mondo a cui appartenere. Ma si tratta di vero cambiamento?

Con grande acume ed ironia Diego Marani, direttore dell’istituto italiano di cultura a Parigi ed autore fecondo, descrive i contorcimenti mentali di un uomo alla ricerca di una dimensione personale da contrapporre alla imperante massificazione. Un piccolo libro scritto in una lingua bella ed elegante.

Commento di V. Gramolini

Nella cameretta di Samantha spicca appeso al muro il poster di una donna lupo, «capelli lunghi, occhi gialli, un corpo da mozzare il fiato, gli artigli al posto delle unghie», una donna che non si arrende davanti a nulla e sa difendersi e tirare fuori i denti. Samantha invece, a 17 anni, ha raccolto nella vita solo tristezze e non ha un futuro davanti a sé. Non è solo la povertà della famiglia; è che la gente come lei non ha più un posto che possa chiamare suo nell’ordine dell’universo.

Lo stesso vale per tutti gli abitanti di Colle San Martino: vite a perdere, individui che, pur gomito a gomito, trascinano le loro esistenze in solitudine totale, ognuno con i suoi sordidi segreti, senza mai un momento di vita collettiva, senza niente che sia una cosa comune. Sul paese dominano, rispettivamente dall’alto del palazzo padronale e dal campanile della chiesa, Cicci Bellè, «proprietario di tutto», e un prete reazionario, padre Graziano. I due si odiano e si combattono; opprimono e sfruttano, impongono ricatti e condizionamenti.

Cicci Bellè prova un solo affetto, per il figlio Mariuccio, un ragazzone di 32 anni con il cervello di un bambino di 5; padre Graziano porta sempre con sé il nipote Faustino, bambino viziato, accudito da una russa silenziosa, Ljuba. Samantha non ha conforto nel ragazzo con cui è fidanzata, nemmeno nei conformisti compagni di scuola; riesce a comunicare solo con l’amica Nadia. Tra squallide vicende che si intrecciano dentro le mura delle case, le sfide dei due prepotenti e i capricci di un destino tragico prima abbattono la protagonista, dopo le permettono di vendicarsi della sua vita con un colpo spregiudicato, proprio come una vera donna lupo; un incidente, un grave lutto, un atto di follia, sono le ironie della vita di cui la piccola Samantha riesce ad approfittare.

La penna di Antonio Manzini, che ha descritto un personaggio scolpito nella memoria dei lettori come Rocco Schiavone, raffigura individui e storie di vivido e impietoso realismo in un noir senza delitto, un romanzo di una ragazza sola e insieme il racconto corale di un piccolo paese. Una specie di lieto fine trasforma tutto in una fiaba acida. Ma dietro quest’apparenza, il ghigno finale della donna lupo fa capire che La mala erba è anche altro: è un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.

venerdì 28 ottobre a Monte Porzio

26 mercoledì Ott 2022

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REGINA BLUES

Attraverso la voce narrante di Syd, arbitro designato per la finale del torneo delle scuole, la storia racconta la singola domenica mattina, mai più ripetibile da quel giorno, di un gruppo di liceali, i Santi del liceo Classico e gli Eroi del liceo Scientifico, che vivono a Regina la loro città, dei loro sogni, delle loro attività, delle loro angosce, delle loro speranze. Racconta una partita di calcio memorabile che viene giocata nel pomeriggio della stessa domenica e che sarà bruscamente interrotta da un evento terribile che sconvolgerà la loro esistenza. A quasi trent’anni di distanza, Syd ci racconta infine il suo destino e quello dei suoi compagni, di alcuni che ce l’hanno fatta ed altri no.

LA LIBERTA’ macchia il cappotto

“𝓗𝓸 𝓿𝓮𝓷𝓽’𝓪𝓷𝓷𝓲, 𝓸𝓻𝓶𝓪𝓲. 𝓝𝓮𝓵 𝓹𝓻𝓲𝓶𝓸 𝓿𝓮𝓷𝓽𝓮𝓷𝓷𝓲𝓸 𝓿𝓲𝓼𝓼𝓾𝓽𝓸 𝓹𝓮𝓻𝓲𝓬𝓸𝓵𝓸𝓼𝓪𝓶𝓮𝓷𝓽𝓮 𝓱𝓸 𝓼𝓹𝓮𝓻𝓲𝓶𝓮𝓷𝓽𝓪𝓽𝓸 𝓼𝓾𝓵𝓵𝓪 𝓶𝓲𝓪 𝓹𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓬𝓱𝓮 𝓮̀ 𝓲𝓶𝓹𝓸𝓼𝓼𝓲𝓫𝓲𝓵𝓮 𝓬𝓪𝓹𝓲𝓻𝓮 𝓵𝓪 𝓿𝓲𝓽𝓪, 𝓪𝓷𝓬𝓱𝓮 𝓼𝓮 𝓶𝓲 𝓼𝓸𝓷𝓸 𝓼𝓮𝓶𝓹𝓻𝓮 𝓲𝓶𝓹𝓮𝓰𝓷𝓪𝓽𝓸 𝓶𝓸𝓵𝓽𝓸 𝓹𝓮𝓻 𝓬𝓸𝓶𝓹𝓻𝓮𝓷𝓭𝓮𝓻𝓵𝓪 𝓪𝓵 𝓶𝓮𝓰𝓵𝓲𝓸. (…) 𝓥𝓸𝓻𝓻𝓮𝓲 𝓬𝓪𝓹𝓲𝓻𝓮 𝓾𝓷 𝓶𝓲𝓵𝓲𝓪𝓻𝓭𝓸 𝓭𝓲 𝓹𝓮𝓻𝓬𝓱𝓮́. 𝓘𝓵 𝓹𝓮𝓻𝓬𝓱𝓮́ 𝓹𝓻𝓲𝓷𝓬𝓲𝓹𝓪𝓵𝓮 𝓮̀ 𝓵𝓪 𝓭𝓸𝓶𝓪𝓷𝓭𝓪 𝓹𝓲𝓾̀ 𝓼𝓬𝓸𝓶𝓸𝓭𝓪 𝓬𝓱𝓮 𝓶𝓲 𝓹𝓸𝓷𝓰𝓸 𝓭𝓪 𝓽𝓮𝓶𝓹𝓸 𝓮 𝓱𝓪 𝓪 𝓬𝓱𝓮 𝓯𝓪𝓻𝓮 𝓬𝓸𝓷 𝓵𝓪 𝓼𝓬𝓸𝓶𝓹𝓪𝓻𝓼𝓪 𝓹𝓻𝓮𝓶𝓪𝓽𝓾𝓻𝓪 𝓭𝓲 𝓶𝓲𝓪 𝓶𝓪𝓭𝓻𝓮”.

“La libertà macchia il cappotto”, il romanzo di Antonello Loreto, è la storia di Quentin (Q, come ama essere chiamato), ma soprattutto della sua difficile adolescenza, difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta che si chiama, appunto ADOLESCENZA, segnata in modo particolare dalla prematura scomparsa dei genitori.

7 Ottobre – “ANCHE SE MAURO NON C’ERA di Even mattioli

23 venerdì Set 2022

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Autunno con gli autori – II edizione

“Anche se Mauro non c’era” è il titolo del tanto atteso secondo volume dello scrittore marottese Even Mattioli, una raccolta di undici racconti brevi dove alle “cose” che succedono nelle vite delle persone si aggiungono quelle che accadono dentro le persone, tra i pensieri, i silenzi e i ricordi di un passato ancora presente. Undici storie per rabbia e altre emozioni, raccontate in equilibrio (precario) tra leggerezza e pro­fondità, ironia e introspezione.

I racconti del nuovo libro sono saliti sul podio della sezione narrativa inedita della 46^ Edizione del Premio Letterario Casentino.

Gruppo di lettura – 25 ottobre

23 venerdì Set 2022

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La continentale è una donna del Nord, bella come un’attrice del cinematografo, bionda, il cui promettente futuro si incrina il giorno disgraziato in cui sposa un siciliano.

È allora che lascia Padova e si trasferisce in Sicilia, dove vive per tutta la vita coltivando un’avversione profonda per la terra che l’ha accolta e per tutti coloro che la abitano. A rievocare quell’ostilità, è la figlia, che si muove tra il punto di vista consapevole della scrittrice che oggi è diventata e quello disarmante della bambina che è stata.

Una bambina divisa dunque tra Nord e Sud, tra madre e padre. Ma che, a dispetto di tutti i pregiudizi, vive un’infanzia luminosa, tra cicale ubriache di sole e corse sfrenate, riti arcaici, feste religiose, dissidi tra il sindaco e il parroco degni di Guareschi. Ma anche un ibrido, un’assurdità, una sorta di mostro.

Silvana La Spina trasporta un tema molto noto e molto sensibile per ogni italiano, il rapporto Nord-Sud, dal terreno dello scontro tra fazioni a quello intimo della famiglia. Ne deriva una narrazione scattosa, rapida, paradossale, amara, dolente e divertita.

Incontro con Mauro Riccioni

10 sabato Set 2022

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9 settembre – Mauro Riccioni

27 sabato Ago 2022

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Un dialogo tra due bambini da sopra a sotto il mare: Leonardo in una nave da crociera e Akanke dal fondo del Mediterraneo.

Questo lo scenario in cui si svolge la storia raccontata da Mauro Riccioni, nel suo primo romanzo da oggi disponibile online e nelle principali librerie delle Marche: “Lettera di una bambina in fondo al mare”.

Akanke è un’africana: ha conosciuto la miseria, sopportato lo sfruttamento, sfidato il deserto e affrontato la traversata del Mare Nostrum a bordo di una carretta del mare. Lì ha trovato la morte.

Narra questa storia a Leonardo, giovane occidentale in vacanza, per spingerlo a pensare e, magari, a raccontare al mondo una silenziosa tragedia che ogni giorno si ripete a poche miglia marittime dalla nostra quotidianità.

E Leonardo saprà rispondere ad Akanke.

Immagini presentazione “Recara’ dann?” 12 agosto 2022 Castelvecchio

13 sabato Ago 2022

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Foto: Giuliana e Laura

Appunti dell’incontro del 30 luglio

03 mercoledì Ago 2022

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I MATTI DI UNA VOLTA

Le case dai tetti rossi (Fandango, 2022) di Alessandro Moscè
30 luglio 2022 CI.B.O.

Alessandro Moscè
Prima di tutto voglio dire che ho trovato Monte Porzio davvero accogliente. Sia da un punto di vista architettonico che urbanistico è un paese ben tenuto, con un centro storico curato e una piazzetta circolare straordinaria, come quelle di una volta. Non è affatto scontato che in un piccolo centro si organizzino degli incontri con l’autore e si possano presentare libri, cose che vi assicuro sono difficili anche a Roma e a Milano.
Sapete bene che gli italiani sono refrattari alla lettura, soprattutto di testi letterari, che evidentemente sono impegnativi più dei libri à la page scritti da calciatori, cabarettisti, attori ecc. Mi occupo di letteratura da molti anni e ho rinunciato a fare l’avvocato, anche se sono laureato in Giurisprudenza, proprio per dedicarmi alla scrittura.
Faccio il caporedattore in un giornale di provincia e scrivo come freelance in vari quotidiani, quali “Il Foglio”, dove recensisco libri specie di poesia. Ho pubblicato volumi di poesia, di narrativa e di critica letteraria. Le case dai tetti rossi è a tutti gli effetti un romanzo, che però non nasce dalla fiction, ma da un luogo evocativo realmente esistito: l’ex manicomio di Ancona.

David Guanciarossa
Prima di presentare il libro di Alessandro Moscè mi sono informato sulla gestione dei vecchi manicomi di cui non si conosce quasi nulla. Ho letto un saggio del docente universitario Roberto Vecchiarelli, Cronache dal manicomio, ambientato nell’ex manicomio di Pesaro: un saggio, non un’opera di fantasia, abbastanza impegnativo, con racconti complessi.
Ho appreso che la Legge Giolitti del 1904 regolarizzava gli ingressi e le uscite dal manicomio. Legge che è rimasta valida fino all’avvento della Legge Basaglia del 1980.
Come si entrava in manicomio? Era abbastanza semplice: la segnalazione di un medico, di un sindaco o di un agente di polizia, in generale di un funzionario pubblico, dichiarava la non stabilità mentale o il pericolo per sé e per gli altri del soggetto indicato, consentendo così che quest’ultimo venisse accolto.
Ben presto, in manicomio, il malcapitato diventava solo un numero. Si usciva “orizzontalmente”. Solo se si riscontravano dei miglioramenti e “fuori” c’erano parenti che potevano ospitare il manicomiato, il “miracolo” poteva avvenire, altrimenti si era condannati tutta la vita all’interno di quelle orrende strutture.
Entravano in manicomio gli omosessuali, gli alcolisti, gli epilettici, la donna che “faceva la preziosa a letto”, chi era affetto da malattie oncologiche.
Mi sono ricordato cha nel nostro gruppo di lettura avevamo letto un romanzo del pesarese Paolo Teobaldi: Il mio manicomio. Rammentavo poco di questo testo, ma imbattendomi nel saggio di Vecchiarelli mi sono tornate in mente le due porte del manicomio di Pesaro, che Teobaldi descrive molto bene: “la porta del morto” e la “trappola” o “la porta del matto”. Una porta nascosta era dipinta come il muro. Chi entrava in questa porta era giudicato un “matto pericoloso”. Veniva condotto con la carrozza lungo la via e spesso si agitava. I familiari fingevano di assecondarlo, gli facevano fare qualche passo e quando si trovavano vicino alla porta lo spingevano dentro. Gli infermieri lo prendevano in custodia mettendogli la camicia di forza. Il manicomio era una prigione a tutti gli effetti, come si può ben capire.

Alessandro Moscè
Le case dai tetti rossi: perché questo titolo, mi chiedete? Da Posatora, che è un quartiere di Ancona posizionato in alto, se negli anni Sessanta e Settanta si osservava la città verso il quartiere del Piano, si vedevano degli stabili che sembravano casermoni, rigorosamente con i tetti rossi.
Si era soliti dire ai bambini: “Se non fai il bravo ti mandiamo ai tetti rossi”. I miei nonni materni abitavano in corso Carlo Alberto, a pochi passi dall’ex manicomio di Ancona, appunto dalle “case dai tetti rossi”. Sono stato sempre suggestionato da questo luogo di contenzione perché non capivo il significato della reclusione e perché mi dicevano di stare alla larga dal cancello di via Cristoforo Colombo, di non fissare i pazienti, chi era oltre quelle inferriate, insomma di girare al largo.
Nell’estate del 1975 ero a passeggio con nonna Altera e non c’erano tutti gli agglomerati di adesso. Rimasi colpito da persone che gironzolavano tra i padiglioni e un porticato, i quali avevano, stranamente, degli indumenti molto più lunghi rispetto alla lunghezza delle braccia. Ciondolavano e la loro postura mi faceva sorridere. Da adulto ho capito che quella specie di pigiamoni non erano altro che camicie di forza. Se il matto dava in escandescenza bastava legare le estremità dietro la schiena.
Per scrivere il romanzo ho compiuto un lavoro preparatorio di due anni. Non sono né un medico né uno psichiatra. Se si trattano taluni argomenti è necessario conoscere le basi del lavoro. Ho letto testi di psichiatria e contattato un amico psichiatra, il primo a leggere Le case dai tetti rossi e a darmi i consigli necessari. Il manicomio di Ancona veniva considerato un ricettacolo da parte dei cittadini, ed era così anche nelle altre strutture, in tutta Italia.
Il romanzo non vuole mettere l’accento sul manicomio per quello che è stato, tanto che affronta soprattutto i grandi cambiamenti della psichiatria. Non l’avrei scritto se i manicomi non fossero stati chiusi, se quei cancelli non fossero stati aperti una volta per tutte.
Il professor Guido Lazzari non è altro che la trasfigurazione del dottor Emilio Mancini, per tanti anni il direttore del manicomio di Ancona. Si rese conto che se le persone parlavano tra loro, se riuscivano a comunicare i sentimenti, se lavoravano continuativamente nell’atelier, se d’estate camminavano sulla spiaggia di Palombina, stavano meglio. L’aprire questa città separata da tutto il resto di Ancona significava fare un notevole passo in avanti. Le nuove disposizioni le aveva già pianificate il grande psichiatra Franco Basaglia nel manicomio di Gorizia. Ad un certo punto, con un colpo di genio, Lazzari dice che le pareti del manicomio si debbono tinteggiare, che quei colori grigi non vanno bene, che bisogna “avvalersi” di colori caldi.
Le finestre, anche se avevano le inferriate, dovevano rimanere aperte. Venne pretesa la massima attenzione all’igiene personale. Non più camerate da quindici, venti persone, ma stanze con al massimo sei individui. Il personaggio al quale sono più affezionato, il giardiniere Arduino, intuisce che anche le piante e i fiori sono decorazioni utili a migliorare l’umore. Regala mazzi di rose alle donne, appositamente confezionate, lasciandole in fondo ai loro letti.

David Guangiarossa
Tra i protagonisti del romanzo cito l’intransigente caposala suor Germana; Nazzareno che raccontava le barzellette ed era un balsamo per tutti i ricoverati; l’uomo giraffa che temeva di essere inseguito dai batteri; Carlo che voleva assomigliare al pirata Sandokan; Franca che sognava i nazisti, di notte, avanzare marciando verso le camerate e che si proteggeva ammassando materassi e mobili dietro la porta; Adele che ricordava di aver intravisto Mussolini a Fabriano, in incognito; Giordano che tifava per la squadra del Napoli e si immedesimava nel suo capitano Antonio Juliano. Sono tutti realmente esistiti? L’impressione è che la sua scrittura voglia in qualche modo redimere i pazienti, salvarli.

Alessandro Moscè
I protagonisti del romanzo sono il trasmutamento di persone che vivevano nei manicomi italiani. È vero, in un certo senso c’è questo tentativo di aprire un orizzonte, visto che si intuiva prima della promulgazione della Legge Basaglia che fosse necessario ridare identità e dignità ai ricoverati nei manicomi. Ritengo questa legge la più grande conquista sociale dell’Italia del secondo dopoguerra, come lo furono anche i referendum sul divorzio e sull’aborto e lo Statuto dei Lavoratori.

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