Marco Carrera è paragonato al colibrì per le sue dimensioni, dal momento che egli fino ai quattordici anni rimane piuttosto piccolo di statura, ma anche e soprattutto perché, nelle varie circostanze e malgrado lo svolgersi degli eventi, il suo rapportarsi alla vita assomiglia a quel battito d’ali col quale quel piccolo uccello riesce a mantenersi in equilibrio.
“Per tutta la sua infanzia Marco Carrera non si era accorto dei contrasti tra sua madre e suo padre… e solo per questo la sua infanzia era stata felice. Anzi, di più… li aveva perfino presi a modello, sì, e imitati, strutturandosi in un contorto miscuglio di caratteristiche mutuate dall’uno e dall’altra – le stesse che nel loro tentativo di unione si erano dimostrate inconciliabili”. Da protagonista, Marco è il punto di vista e il riferimento, la chiave di lettura degli eventi che di volta in volta interessano i membri della sua famiglia, che egli, responsabilizzandosi e colpevolizzandosi, prende in carico, anche pretendendo di condizionare le storie e la storia. Così, nella sua mente, non solo quella dei genitori, anche la vita della sorella e poi della moglie, della figlia… senza dimenticare quella di Luisa, il suo amore mancato e imperituro, sembra debbano dipendere dalle sue scelte personali, di lui che vorrebbe ergersi come un gigante a fermare la grande frana della vita, salvo poi doversi inevitabilmente lasciar travolgere scoprendo forze contrarie fino a quel momento imprevedibili.
Le sequenze della storia sono narrate in disordine, accostate per continuità logica più che temporale e il lettore è chiamato a ricostruirne, insieme alla successione cronologica, le connessioni e le dinamiche tra casualità e causalità, interpretando motivazioni e cogliendo relazioni.
«Ernaux passa attraverso il corpo, i desideri, la sessualità. la carne per raccontare una condizione che non può essere ridotta a un’unica dimensione, tantomeno a quella puramente autobiografica, anche se il percorso ha tutte le caratteristiche di una dolorosa presa di coscienza, inevitabile, liberatoria. In gioco, più che la felicità a cui la scrittrice sembra non dare troppo peso, c’è l’integralità della persona, il suo riconoscersi in sé stessa.» – Cristina Taglietti, la Lettura
«Sempre attenta ai bisogni degli altri. Come se per una donna non ci fosse nulla, proprio nulla, di più importante»
Le scoperte e i tabù dell’infanzia, gli ardori e i conformismi dell’adolescenza, gli anni trepidi e indipendenti dell’università, ingolfati di amori e di scelte, finché i mille bivi della giovinezza non convergono in un’unica via dalla forza di attrazione quasi irresistibile: il matrimonio, la fondazione di una famiglia. E qui lo squilibrio di ruoli e mansioni tra moglie e marito, tra madre e padre condanna l’autrice alla glaciazione dell’interiorità e del desiderio. In un continuo contrappunto tra le proprie esperienze e i modelli imposti dall’onnipresente universo maschile – nel sussidiario delle elementari come nei riti collettivi della gioventù e nei luoghi comuni sulla «femminilità» –, Annie Ernaux descrive con precisa passione l’apprendistato alla disparità di una donna, consegnandoci con spietata limpidezza un’impareggiabile radiografia della moderna vita di coppia.
Contributo di Valera Gramolini
Mi ha fatto uno strano effetto leggere questo libro di Annie Ernaux, che ho conosciuto solo perché i tg ne hanno parlato avendo vinto il Nobel per la letteratura 2022. Scopro così che è autrice molto conosciuta ed amata non solo in Francia, di cui ha raccontato il clima socio-culturale di più di mezzo secolo, avendo ottantadue anni anni e scritto molti libri, tra i quali questo forse non è il migliore, stando ai giudizi della critica, che invece raccomanda “Il posto” e “Gli anni”. Comunque pare che le tematiche siano piuttosto ricorrenti e che i diversi romanzi facciano sempre in qualche modo riferimento alla sua storia personale, la quale è la storia di quasi tutte le donne, alle prese con le questioni proprie del nostro sesso: i condizionamenti sociali e familiari alla differenziazione tra i ruoli maschili e femminili, le problematiche proprie del nostro corpo, vale a dire contraccezione, maternità, aborto, piacere e quelle della psiche, cioè i conflitti interiori che insorgono nella battaglia per l’affermazione della nostra autonomia ed indipendenza. Tematiche che in questo libro sono tutte presenti e che si riferiscono ai primi 35/40 anni della vita dell’autrice, a cominciare dalle anomale figure genitoriali, alla solitudine propria dei figli unici, lei, così diversa dalle proprie coetanee, e poi l’affacciarsi del desiderio amoroso e della ambigua spinta a cercare un partner, ora voluto ora rifiutato, la volontà di emergere ed affermarsi culturalmente e professionalmente e la difficoltà a farlo, per l’ingabbiamento nei ruoli, la vita di coppia soffocante e logorante, a cui si aggiunge una doppia maternità, una casuale ed una desiderata, non per una particolare attitudine ad essere madre, troppo esaltata dal mondo circostante, ma quasi come strumento di affermazione di un potere a cui il maschio non può accedere. Pur nella sofferenza di una battaglia solitaria ed incompresa, costretta ad una vita domestica a causa della quale è costretta a molte rinunce, la protagonista, cioè Annie, esce vincente, riuscendo alla fine ad incarnare il proprio vecchio sogno, e a conciliarlo parzialmente con una relazione coniugale in equilibrio perennemente instabile.
Lo strano effetto di cui parlavo all’inizio si riferisce al fatto che questo libro mi ha richiamato alla memoria cose alle quali non pensavo più da molto tempo e che erano invece oggetto ricorrente di discussioni ed approfondimenti durante gli anni di università e di battaglie femministe. Le quali naturalmente non si sono acquietate e giustamente, visti i tempi. Penso che il premio Nobel a questa autrice sia stato conferito più a sostegno della giusta rivendicazione dei nostri diritti in un mondo sempre più misogino e violento nei nostri confronti che per la qualità letteraria della sua scrittura, che comunque trovo molto interessante, così asciutta, scarna, precisa, vera e immediata da giungere davvero a tutti. Un premio al suo lavoro e alla carriera, realizzata attraverso una tenacia che a molte donne manca, e quindi un incoraggiamento a difendere quanto si è ottenuto, e non solo in quei paesi dove le donne non possono mostrare il viso né occupare i banchi di scuola.
Libro in lettura per il Gruppo di lettura di Monte Porzio, reperibile all’ l’edicola Manu da oggi fino al 9 febbraio, giorno del nostro prossimo incontro alle 21, nei locali della nostra biblioteca e poi sempre a disposizione. Consigliato assolutamente a tutte le donne che fanno fatica a volersi bene!
Mentre la maggior parte delle persone ama uniformarsi alla massa, rassicurati dalla condivisione di qualcosa dai grandi numeri, il barbiere Rodolfo, demotivato dalla routine di una vita senza eccellenze, coltiva il sogno di distinguersi. Passa dunque in rassegna e tenta, organizzandosi senza badare a spese, alcune possibilità. Esplora i diversi mondi delle minoranze alla ricerca della sua, ma senza successo, finché finalmente anche lui trova un piccolo mondo a cui appartenere. Ma si tratta di vero cambiamento?
Con grande acume ed ironia Diego Marani, direttore dell’istituto italiano di cultura a Parigi ed autore fecondo, descrive i contorcimenti mentali di un uomo alla ricerca di una dimensione personale da contrapporre alla imperante massificazione. Un piccolo libro scritto in una lingua bella ed elegante.
Commento di V. Gramolini
Nella cameretta di Samantha spicca appeso al muro il poster di una donna lupo, «capelli lunghi, occhi gialli, un corpo da mozzare il fiato, gli artigli al posto delle unghie», una donna che non si arrende davanti a nulla e sa difendersi e tirare fuori i denti. Samantha invece, a 17 anni, ha raccolto nella vita solo tristezze e non ha un futuro davanti a sé. Non è solo la povertà della famiglia; è che la gente come lei non ha più un posto che possa chiamare suo nell’ordine dell’universo.
Lo stesso vale per tutti gli abitanti di Colle San Martino: vite a perdere, individui che, pur gomito a gomito, trascinano le loro esistenze in solitudine totale, ognuno con i suoi sordidi segreti, senza mai un momento di vita collettiva, senza niente che sia una cosa comune. Sul paese dominano, rispettivamente dall’alto del palazzo padronale e dal campanile della chiesa, Cicci Bellè, «proprietario di tutto», e un prete reazionario, padre Graziano. I due si odiano e si combattono; opprimono e sfruttano, impongono ricatti e condizionamenti.
Cicci Bellè prova un solo affetto, per il figlio Mariuccio, un ragazzone di 32 anni con il cervello di un bambino di 5; padre Graziano porta sempre con sé il nipote Faustino, bambino viziato, accudito da una russa silenziosa, Ljuba. Samantha non ha conforto nel ragazzo con cui è fidanzata, nemmeno nei conformisti compagni di scuola; riesce a comunicare solo con l’amica Nadia. Tra squallide vicende che si intrecciano dentro le mura delle case, le sfide dei due prepotenti e i capricci di un destino tragico prima abbattono la protagonista, dopo le permettono di vendicarsi della sua vita con un colpo spregiudicato, proprio come una vera donna lupo; un incidente, un grave lutto, un atto di follia, sono le ironie della vita di cui la piccola Samantha riesce ad approfittare.
La penna di Antonio Manzini, che ha descritto un personaggio scolpito nella memoria dei lettori come Rocco Schiavone, raffigura individui e storie di vivido e impietoso realismo in un noir senza delitto, un romanzo di una ragazza sola e insieme il racconto corale di un piccolo paese. Una specie di lieto fine trasforma tutto in una fiaba acida. Ma dietro quest’apparenza, il ghigno finale della donna lupo fa capire che La mala erba è anche altro: è un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.