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Incontro GdL 21 settembre 2021

14 mercoledì Lug 2021

Posted by gruppodiletturaleparole in Senza categoria

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AMUNURANZA
Siamo in un piccolo borgo siciliano che, dall’alto di una collina, domina il mare: una comunità di cinquemila anime che si conoscono tutte per nome. Su un lato della piazza sorge la tabaccheria, un luogo magico dove si possono trovare, oltre alle sigarette, anche dolciumi e spezie, governato con amore da Costanzo e da sua moglie Agata. Sull’altro lato si affaccia il municipio, amministrato con altrettanto amore (ma per il denaro) dal sindaco “Occhi Janchi”.

Attorno a questi due poli brulica la vita del paese, un angolo di paradiso deturpato negli anni Cinquanta dalla costruzione di una grossa raffineria di petrolio. Quando Costanzo muore all’improvviso, Agata, che è una delle donne più belle e desiderate del paese, viene presa di mira dalla cosca di Occhi Janchi, che, oltre a “fottere” lei, vuole fotterle la Saracina, il rigoglioso terreno coltivato ad aranci e limoni che è stato il vanto del marito.

Ma la Tabbacchera non ha intenzione di stare a guardare. Attorno a lei si raccoglie una serie di alleati: il professor Scianna, che in segreto scrive poesie e cova un sentimento proibito per la figlia di un amico, l’erborista Lisabetta, capace di preparare pietanze miracolose per la pancia e per l’anima, Lucietta detta “la piangimorti”, una zitella solitaria che nasconde risorse insospettate… una compagnia variopinta e ribelle di “anime rosse” che decide di sfidare il potere costituito a colpi di poesia, di gesti gentili e di buon cibo: in una parola, di “amurusanze”.

Tra una tavolata imbandita con polpettine e frittelle afrodisiache e una dichiarazione d’amore capace di cambiare una fede, le sorti dei personaggi s’intrecciano sempre più, in un crescendo narrativo che corre impetuoso verso la deflagrazione…

TERRAMARINA
È la sera della vigilia di Natale e Agata, che in paese tutti chiamano la Tabbacchera, guarda il suo borgo dall’alto: è un pugno di case arroccate sul mare che lei da qualche tempo s’è presa il compito di guidare, sovvertendo piano piano il sistema di connivenze che l’ha governato per decenni e inventandosi una piccola rivoluzione a colpi di poesia e legalità. Ma stasera sul cuore della sindaca è scesa una coltre nera di tristezza e “Lassitimi sula!” ha risposto agli inviti calorosi di quella cricca di amici che è ormai diventata la sua famiglia: è il suo quarto Natale senza il marito Costanzo, che oggi le manca più che mai.

E, anche se fatica ad ammetterlo, non è il solo a mancarle: c’è infatti un certo maresciallo di Torino che, da quando ha lasciato la Sicilia, si è fatto largo tra i suoi pensieri. A irrompere nella vigilia solitaria di Agata è Don Bruno, il parroco del paese, con un fagotto inzaccherato tra le braccia: è una creatura che avrà sì e no qualche ora, che ha trovato abbandonata al freddo, a un angolo di strada. Sola, livida e affamata, ma urlante e viva.

Dall’istante in cui Luce – come verrà battezzata dal gruppo di amici che subito si stringe attorno alla bimba, chi per visitarla, chi per allattarla, vestirla, ninnarla – entra in casa Tabbacchera, il dolore di Agata si cambia in gioia e il Natale di Toni e Violante, del dottor Grimaldi, di Sarino, di Lisabetta e di tutta quella stramba e generosa famiglia si trasforma in una giostra. Di risate, lacrime, amurusanze, tavole imbandite, ritorni, partenze e sorprese, ma anche di paure e dubbi: chi è la donna che è stata capace di abbandonare ai cani il sangue del suo sangue? Starà bene o le sarà successo qualcosa?

Cosa fare di quella picciridda che ha già conquistato i cuori di almeno sette madri e cinque padri? Tea Ranno torna a percorrere i territori fiabeschi e solari dell’ Amurusanza con il suo stile che fonde dialetto siculo e poesia e si lascia contaminare dal realismo magico sudamericano. Il risultato è una narrazione corale ipnotica, un moderno presepe fatto di personaggi vitali e incandescenti, una generosa parabola di accoglienza e solidarietà.

LE PROMESSE MANCATE
Una telefonata in una sera funestata dalla pioggia riapre vecchie ferite nella memoria del commissario Toni Nastasi: Luca, un amico d’infanzia, è stato ucciso. Alla mente del commissario ritorna il doloroso ricordo di Marco, inseparabile spalla di Toni e Luca, che trent’anni prima si è tolto la vita. Perché quel gesto?

E come sono collegate queste due vicende? Oltre a Luca, due anziani preti sono stati uccisi dallo stesso assassino, che ha lasciato sui corpi un sinistro segno di redenzione. Nastasi, impegnato a districarsi fra i ricordi che pian piano riaffiorano dall’oblio, riallaccerà i fili di una memoria che, tassello dopo tassello, presenterà un conto amaro, delineando un quadro dove vecchi affetti e nuovi volti assumono connotati imprevedibili.

Incontro GdL 6 Luglio 2021

09 mercoledì Giu 2021

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La storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa» (Stenio Solinas). È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l’esistenza è vista e raccontata con l’innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».

Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo. Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L’anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui. Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary. «Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell’immigrazione araba.

Incontro GdL 27 aprile – (rinviato)

31 mercoledì Mar 2021

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Su un altissimo grattacielo londinese, la notte di San Silvestro, mentre imperversano botti e festeggiamenti, un presentatore televisivo in crisi matrimoniale e professionale decide di suicidarsi buttandosi giù dall’ultimo piano. Ma al momento decisivo si accorge di non essere da solo su quel grattacielo: c’è vicino a lui una donna disperata, senza lavoro e senza marito, alle prese con un figlio autistico. Anche lei sta per buttarsi giù. Ma spuntano anche una ragazzina di 15 anni, sedotta e poi lasciata da un ragazzo, e un musicista americano fallito, ora cameriere in una pizzeria, pure lui abbandonato dalla ragazza. Anche loro vogliono suicidarsi. Forse sono un po’ troppi…

Incontro 30 marzo 2021

29 venerdì Gen 2021

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ll libro racconta la vita in una strada popolare della Firenze tra le due guerre mondiali e via del Corno, dove tutto è ambientato, si presenta come fosse circondata da quinte teatrali. Ne conosciamo le dimensioni con esattezza: lunga «cinquanta metri e larga cinque; è senza marciapiedi»; è una strada che diventa «un Politeama». E, proprio come in teatro, dei personaggi che si allontanano dal palcoscenico quasi si perdono le tracce, poiché, nella composizione di questo affresco, il singolo è funzionale al tutto. Pratolini scrive molti anni dopo aver vissuto in quelle case; egli è stato un “cornacchiaio”, ma non è più partecipe di quelle esperienze, non svolge più mestieri umili e manuali, non frequenta i bar lungo la via: egli siede a tavolino e lavora di intelletto. Coerente dunque la scelta della terza persona, con un narratore che si fa regista e tenta di raccontare non più solo le singole vicende ma, attraverso quelle, le sorti di tutta la comunità, che coincidono poi con quelle dell’intero quartiere, alla città, alla nazione. Via del Corno è dunque emblema di vicende italiane (la consacrazione del potere fascista, la clandestinità delle opposizioni) e di sentimenti universali: l’amore, la solidarietà, le rivalità tra uomini. Un tentativo di interpretazione della storia tutta, dunque, sebbene attraversato da una troppo netta distinzione tra chi sta dalla parte del bene e chi da quella del male.

Il mondo del quartiere, la rappresentazione corale della vita di un rione popolare di Firenze: il libro di Pratolini è una favola moderna ma dall’ossatura antica, che si richiama alla novella boccaccesca, dove il vero protagonista è proprio lui, il quartiere di Sanfrediano. Qui le ragazze spasimano e si dannano tutte per lo stesso dongiovanni, “Bob” (dalla sua somiglianza con Robert Taylor), ma quando una delle innamorate gabbate, la Tosca, scopre il doppio gioco del ragazzo, decide di organizzare una beffa destinata a dargli una lezione una volta per tutte.

Incontro GdL (26 gennaio 2021)

16 mercoledì Dic 2020

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La leggenda del ragazzo che credeva nel mare

 Salvatore Basile

Quando si tuffa Marco si sente libero. Solo allora riesce a dimenticare gli anni trascorsi tra una famiglia affidataria e l’altra. Solo allora riesce a non pensare ai suoi genitori di cui non sa nulla, non fosse che per quella voglia a forma di stella marina che forse ha ereditato da loro. Ma ora Marco ha paura del mare. Dopo un tuffo da una scogliera si è ferito a una spalla e vede il suo sogno svanire. Perché ora non riesce più a fidarsi di quella distesa azzurra. Perché anche il mare lo ha tradito, come hanno sempre fatto tutti nella sua vita. Eppure c’è qualcuno pronto a dimostrargli che la rabbia e la rassegnazione non sono sentimenti giusti per un ragazzo. È Lara, la sua fisioterapista, che si affeziona a lui come nessuno ha mai fatto. Lara è la prima che lo ascolta senza giudicarlo. Per questo Marco accetta di andare con lei nel paesino dove è nata per guarire grazie al calore della sabbia e alla luce del sole. Un piccolo paesino sdraiato sulla costa dove si vive ancora seguendo il ritmo dettato dalla pesca per le vie che profumano di salsedine. Quello che Marco non sa è il vero motivo per cui Lara lo ha portato proprio lì. Perché ci sono segreti che non possono più essere nascosti. Perché per non temere più il mare deve scoprire chi è veramente. Solo allora potrà sporgersi da uno scoglio senza tremare, perché forse a tremare sarà solo il suo cuore, pronto davvero a volare. Salvatore Basile con il suo romanzo d’esordio, Lo strano viaggio di un oggetto smarrito, ha emozionato migliaia di lettori. A due anni dall’uscita ecco una nuova imperdibile storia. Un ragazzo senza radici in cerca di sé stesso. Il fascino del mare e i mille segreti che nasconde. La forza di un passato che vuole uscire dal silenzio per regalare speranza e voglia di rischiare ancora.

 

Borgo Sud

 Donatella Di Pietrantonio

«C’era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni.»

 con un romanzo teso e intimo, intenso a ogni pagina, capace di tenere insieme emozione e profondità di sguardo.L’ArminutaÈ il momento più buio della notte, quello che precede l’alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosí tutt’a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande. Entrando nell’appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel ma-trimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa. Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte in-terminabile di viaggio – in cui mettere insieme i ricordi –, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È lí, in quel microcosmo cosí impenetrabile eppure cosí accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos’è realmente successo, e forse fare pace col passato. Donatella Di Pietrantonio torna dopo 

 

Incontro GdL (15 dicembre 2020)

11 mercoledì Nov 2020

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Edith e Andrea, una giovane un po' trasgressiva e un capitano molto rigoroso, si incontrano per caso su un traghetto, tra Venezia e la Grecia. Un evento minimo dei tanti di cui è fatta la vita. Ma la loro cambia per sempre. Dapprima c'è il rifiuto: come possono, loro così diversi, sentirsi attratti una dall'altro? Poi le fasi alterne di un amore dapprima clandestino, le avventure di una lunga separazione, il pericolo di un segreto, una felicità inattesa e una grande prova… E infine l'isola, piena di vento e di luce, dove i due vanno ad abitare ristrutturando una vecchia casa abbandonata. L'isola dove ora Andrea si ritrova solo. I dialoghi veramente importanti, però, non si esauriscono mai: mentre la cura quotidiana del giardino e delle api dell'amata moglie lo aiuta a tornare alla vita, Andrea continua a parlare con lei. Le racconta, con tenerezza e passione, la loro grande storia d'amore. E le promette che ritroverà la figlia, Amy, che da troppo tempo ha interrotto i rapporti con i genitori. Forse è possibile ricominciare, riscoprirsi famiglia, nonostante i dispiaceri e le scomode verità? Una storia che ci pone domande fondamentali: sui legami che forgiamo tra le anime, sulla nostra capacità di cambiare, sul destino che unisce e separa. Quando ci sembra di aver perso la capacità di stupirci, cercare la luce, prenderci cura, è il cuore che tace o solo noi che non lo sappiamo ascoltare?

Quando, durante uno scavo archeologico, vengono rinvenute alcune ossa umane, uno sperduto campo della black country si trasforma improvvisamente nella complessa scena di un crimine per la detective Kim Stone. Non appena le ossa vengono esaminate diventa chiaro che i resti appartengono a più di una vittima. E testimoniano un orrore inimmaginabile: ci sono tracce di fori di proiettile e persino di tagliole da caccia. Costretta a lavorare fianco a fianco con il detective Travis, con il quale condivide un passato che preferirebbe dimenticare, Kim comincia a investigare sulle famiglie proprietarie e affittuarie dei terreni del ritrovamento. E così, mentre si immerge in una delle indagini più complicate mai condotte, la sua squadra deve fare i conti con un’ondata di odio e violenza improvvisa. Kim intende scoprire la verità, ma quando la vita di una sua agente viene messa a rischio, dovrà capire come chiudere al più presto il caso, prima che sia troppo tardi.

Incontro GdL 3 Novembre

08 giovedì Ott 2020

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Nel suo romanzo Viola Ardone racconta una vicenda poco nota dell’Italia del dopoguerra. Per alcuni anni il Pci e le donne dell’Udi organizzarono affidi temporanei di ragazzi del Meridione nelle famiglie emiliane. «Come Amerigo, un bambino che lascia la madre e va alla scoperta del mondo».

Un treno carico di bambini che corre verso nuove città, nuove avventure, tante scoperte, in nome di una parola che suona quasi magica: la solidarietà. Sembra una fiaba, ma invece è una storia vera. Il treno dei bambini (Einaudi Stile libero, 2019) di Viola Ardone, infatti, racconta dell’operazione del Partito comunista italiano e dell’Unione donne italiane che, nel Secondo dopoguerra, dal 1946 al 1952, portò, in treno, circa 70mila bambini – soprattutto del Sud, ma non solo – nelle regioni rosse del Nord per affidi temporanei, così da tenerli lontani dalla miseria. Il libro di Ardone recupera una vicenda storica troppo spesso dimenticata, ma che parla anche al nostro presente, ricordandoci l’importanza dell’accoglienza, della solidarietà e della lotta contro le disuguaglianze. E ci fa sentire tutta la mancanza di un grande partito di massa che possa dare risposte, politicizzare e organizzare i sentimenti e i bisogni della società.

Com’è venuta a conoscenza di questa vicenda?
Si tratta di una vicenda che è stata documentata, ma prima di questo romanzo non era stata ancora narrata. Per questo forse molte persone non ne erano a conoscenza. A me è stata raccontata da un signore che su quei treni c’era stato. Le sue parole sono state una scintilla: tanti bambini che partivano senza i genitori verso una destinazione a loro forse ignota. Era una storia da raccontare!

Cosa l’ha spinta a scriverci un libro? Perché è importante raccontarla oggi, questa storia?
Quando mi è nata l’idea avevo sotto gli occhi non solo le immagini della Napoli del dopoguerra ma anche quelle dei minori che arrivavano – e continuano ad arrivare – da noi in Italia su mezzi di fortuna, di madri che affidano la sopravvivenza dei loro figli alla sorte e alla solidarietà degli sconosciuti che troveranno sul loro cammino. Le storie di migrazioni sono le storie del genere umano. Da sempre l’umanità è in movimento alla ricerca della dimensione di vita migliore per sé e per le generazioni future. Negare questo significa non aver mai aperto un manuale di storia. L’accoglienza, l’incontro non sono mai semplici. Chi parte dalla sua terra deve abituarsi a nuove regole e linguaggi; chi accoglie deve far spazio all’altro e modificare il proprio modo di vivere, declinare le proprie convinzioni in relazione al nuovo. Per questo sono convinta che l’accoglienza debba essere frutto di una organizzazione e di un progetto condiviso. Altrimenti i singoli cittadini diventano vittime della paura, che è fonte di intolleranza e razzismo, soprattutto se queste tematiche vengono strumentalizzate dai politici.

Incontro GdL 30 Giugno

27 mercoledì Mag 2020

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L’ animale femmina –  Emanuela Canepa

«Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere»

L’animale femmina, che presenta una giovane protagonista, Rosita Mulé, bellicosa e pronta alla battaglia, certamente non inferiore alle donne-investigatrici che altri mettono in primo piano partecipando alla moda dilagante dei “gialli”. La sua schedina biografica la metterebbe in una grave situazione di disagio. È in lotta con una madre assorbente, tanto da indurla a fuggire dal “natio borgo selvaggio” per inurbarsi a Padova, vivendovi una bohème nei termini attuali, e cioè pochi soldi, un lavoro mal pagato in un emporio, esami universitari dati quando ne ha tempo, amori da strapazzo poco gratificanti. Ma la giovane mantiene una onestà di fondo, che fra l’altro le permette di compiere una “buona azione”, come sarebbe il restituire il portafoglio smarrito da una viaggiatrice incauta scendendo da un autobus. Al seguito di questo spunto le avviene di incontrare l’altra figura dominante dell’intera vicenda, che forse potrebbe essere intitolata più correttamente all’“animale maschio”. Si tratta infatti di un anziano avvocato, tale Ludovico Lepore, subito definito “un odioso, vecchio sadico stanco e claudicante”. In apparenza questo anziano professionista sarebbe un benefattore della giovane, perché la assume come segretaria d’ufficio colmandola di favori, che però hanno impensati corrispettivi. Infatti a Lepore piace essere dominatore, in modi subdoli, poco appariscenti. I benefici con cui accoglie la ragazza sono accompagnati da progressivi tentativi di dominio, con imposizioni varie, nell’abbigliamento, nei modi di comportarsi, di parlare, di atteggiarsi. Ne nasce un duetto con punte divertenti o assai tese, perché Rosita è pane per i denti del vecchio coriaceo. Abilmente la scrittrice inserisce un flashback che ci spiega tutto, del protagonista. Tanti anni prima egli ha avuto una relazione con un compagno di esperienze giovanili, sfociata in un rapporto omosessuale non pienamente consumato. Da qui il disgusto attuale dell’anziano avvocato per il sesso, e anche uno spirito di ritorsione verso le donne, colpevoli di avergli portato via, con un matrimonio di convenienza, il compagno tanto amato. Questo trascorso, in apparenza remoto e sepolto, spiega la durezza, malizia, protervia che regolano ora le mosse di questo dominatore della scena. Ne deriva un duello con la giovane apparentemente indifesa, ma in realtà non priva di artigli, che si combatte lungo tanti gradi, tappe e scaramucce, e l’averle tessute con abilità è certo tra i meriti maggiori di questa narrazione. C’è da chiedersi addirittura se i due, pur nei rispettivi ruoli tanto diversi, non riescano talora ad associarsi, nel perseguire, o nell’insinuarsi, tra il benevolo e il malevolo, in tante storie di divisioni coniugali, poiché lo studio è specializzato nelle cause di divorzio. Insomma, tra il maschio prepotente, seppure sempre in modi subdoli, non frontali, e la giovane ardita, seppure sotto le apparenze di un buonismo retto dai migliori principi, è lotta continua, magari sotto traccia, più con mosse da domino che per scontri frontali. E forse sarebbe stato bene che la nostra Canepa lo avesse tenuto a un simile livello fino alla fine, magari siglato dall’annuncio di una morte imminente del padre padrone per un tumore avanzante. Ma invece sul finale la nostra autrice ha voluto far riemergere da quel lontano passato l’infelice, secondario, marginale responsabile della vicenda giovanile, che si era tenuto una statuetta preziosa come pegno di un amore troppo presto dimenticato. Alla giovane di studio un’ultima incombenza, quella di recuperare l’oggetto carico di tanto valore sentimentale. Ma è anche il modo con cui “l’animale maschio” intende esercitare per un’ultima volta il suo dominio sull’odiata controparte.

Incontro 26 maggio Gruppo di Lettura

08 mercoledì Apr 2020

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Uscito nel maggio del 1954, Il prete bello riscuoterà un clamoroso successo. E rileggendolo oggi, quando ormai le etichette impugnate per celebrarlo o denigrarlo sono alle nostre spalle, ci accorgiamo che il suo segreto sta tutto in quella genesi: nella festosa eccentricità dei personaggi che popolano un labirintico e fiabesco caseggiato nella Vicenza del 1940, e di colui che saprà stregarli tutti: don Gastone, il «prete bello». Personaggi quali la ricca signorina Immacolata, con i suoi strani cappellini a piume e l’occhialino d’oro cesellato; le Walenska, madre e figlia, che si scaldano ingrandendo con una enorme lente l’unico raggio di sole che al tramonto penetra nella loro stanza; il cav. Esposito, che tiene sotto chiave le cinque figlie concupiscenti; Fedora, la cui rigogliosa natura si spande dagli occhi e da tutto il corpo, quasi che «dai pori uscisse un polline dolciastro»; e la cenciosa banda di ragazzi truffaldini e sentimentali che nei vicoli e sotto i portici cercano ogni giorno di sopravvivere trasformandosi in ladri, ruffiani e mendicanti – in particolare Sergio, il narratore, e il suo amico Cena. In tutti loro, nelle vene e nel sangue, l’atletico, elegante, vanesio don Gastone si infiltra come una passione oscura, violenta ma capace di dare improvvisamente vita – e come nel Ragazzo morto e le comete ci troviamo di fronte a «una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definiti» (Eugenio Montale).

 

Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell’aldilà. Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. Si chiama Yui, ha trent’anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo. Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, un medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre. Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé. E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall’uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c’è più. E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l’amore. Anche il secondo, anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene. Laura Imai Messina ci conduce in un luogo realmente esistente nel nord-est del Giappone, toccando con delicatezza la tragedia dello tsunami del 2011, e consegnandoci un mondo fragile ma denso di speranza, una storia di resilienza la cui più grande magia risiede nella realtà.

Incontro GdL 7 aprile 2020

23 lunedì Mar 2020

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Ci incontriamo in teleconferenza, via Messanger, alle ore 21

La vita di Violette è uguale a quella di tante bambine. Due fratelli, Jean e Augustin, una madre premurosa, un padre completamente assorbito dal lavoro. Un cane, Javert, conosciuto per caso e amato all’istante. E tante case: la prima a Roma, poi a Parigi, infine a Plouzané, in Bretagna, a pochi metri dal mare, il posto migliore per curare le ferite dei sogni non realizzati. Le giornate di Violette corrono leggere, come quelle di tanti bamb ini, tra passeggiate, chiacchiere, giochi e letture. Le notti sono diverse. Perché Violette non dorme, cammina al buio, i piedi scalzi, l’abito celeste. Riempie le ore contando i libri dei genitori, tremilaottocentosettantotto per l’esattezza, sistema tutti i ricordi nel “ricordario”, per non perderli più. E ogni giorno guarda il mondo e lo vede cambiare, le persone vanno a una velocità differente, crescono, invecchiano, spariscono. Invece lei rimane sempre la stessa, le stesse mani, lo stesso viso. Perché Violette è la bambina che non c’è. Non è mai nata, è il desiderio perfetto di tutti loro, mamma, papà, Jean e Augustin. Eppure vive, ride, corre, esiste, almeno fino a quando qualcuno continuerà a pensarla. Sul confine magico che divide la realtà dal sogno, Violette ci racconta il suo mondo con una leggerezza allegra e malinconica, raccogliendo gli attimi, le emozioni e i gesti che nessuno riuscirebbe mai a immaginare.

Emmanuel Carrère L’avversario

“Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L’inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient’altro. Da diciott’anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone il cui sguardo non sarebbe riuscito a sopportare. È stato condannato all’ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell’uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un’autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi.” (Emmanuel Carrère)

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